Essere o non essere

Copenaghen, 28 marzo 2004; Copenhagen-Viborg

Hvidovre o Copenaghen, questo è il problema. Nel paese di Amleto aver dubbi è legittimo. Nel caso specifico, il quesito verte su quale partita assistere. Ne avremmo due in programma a pochi chilometri di distanza. La più interessante dal punto di vista tecnico non è la più stimolante ma tant’è alla fine optiamo per la seconda scelta: una gara del massimo campionato danese, nello stadio nazionale. Non rimpiangeremo la decisione, anche perché col Hvidovre ci rifaremo abbondantemente.

Sarà per il dilemma di cui sopra, ma la nostra puntualità allo stadio non è esattamente nordica. Non siamo i soli a perderci il calcio d’inizio ed è consolante che in ritardo lo siano anche i tifosi di Viborg. A dirla tutta, mettendoci nei loro panni, avrebbero anche potuto perdersi tutto il primo tempo. La loro squadra non perviene per quarantacinque minuti, al contrario dei padroni di casa che almeno qualche tentativo per segnare lo fanno, ispirati dai fraseggi di Zuma e Álvaro e dai dribbling di Martin Bergvold, che arriverà in Italia – a Livorno – qualche stagione più tardi. Dal suo settore, quello mancino, arrivano le iniziative più interessanti. Nella ripresa il Copenaghen non riesce a passare manco su rigore, fallito da Svensson, prima di regalare al Viborg il gol del vantaggio nell’unica vera e propria puntata verso la propria porta. A sorpresa, non riusciranno a reagire e finiranno per perdere.

Mentre lo stadio si svuota – era pieno almeno due terzi – l’atmosfera comunque è rilassata. La vittoria è archiviata: Copenaghen resta comunque in testa alla classifica con largo vantaggio. Quel che ci aveva spinto fin lì però non era vedere la capolista ma piuttosto capire quanto, da queste parti, la tradizione abbia lasciato spazio alle esigenze di marketing. Fino al 1992 nell’area metropolitana della capitale danese esistevano quattro club: due con sede in periferia – Hvidovre e  Brøndby – altrettanti in città: il KB e i suoi quindici titoli in bacheca e il B1903, sette volte campione, tutte società calcistiche orgogliose del loro patrimonio e della loro storia. Rivali tra loro, hanno segnato la storia della Super Ligaen per un secolo. Brøndby a parte, con gli anni novanta sono arrivati anche i problemi economici che ne hanno ridotto le potenzialità. Tanto che, dei tre sodalizi in crisi, l’unico a restare fedele a se stesso è stato il Hvidovre.

Il club dai colori rosso e blu nel frattempo è precipitato al terzo livello del calcio locale. Il giorno prima della visita al Parken, a Hvidovre ci aveva accolto Michael Christensen, presidente factotum. Unico dipendente ufficiale, l’ex calciatore era stato scelto da Peter Schmeichel – esattamente, proprio lui – nei due anni in cui il portiere del Manchester United ha deciso d’investire nel club in cui aveva iniziato la propria carriera. I progetti nel frattempo si sono arenati ma Christiansen ha continuato a lavorare per mantenere il club in vita e provare a dargli un futuro degno. C’è da capirlo e basta osservare lo stadio e i servizi di cui è dotato. Un impianto da quattordicimila posti, gradevole e accogliente, che alcune società di A o di B italiane si sognano e in cui Christensen ha giocato contro la Juventus, nella Coppa dei Campioni del 1982. “Una serata indimenticabile: l’Italia aveva appena vinto i Mondiali e abbiamo giocato contro Rossi, Cabrini, Tardelli e Platini”. Quattro gol subiti di fronte ad un impianto pieno come non mai. I gagliardetti delle due partite sono appesi in bella mostra. “Nel ritorno a Torino abbiamo addirittura pareggiato”. Secondo lui Copenhagen può avere spazio per tre squadre ai vertici del calcio danese. “La nostra dimensione è però la Prima Divisione: con piccoli passi proveremo a risalire”. A una fusione ci avevano anche pensato. Con il Frem. Alla fine non si è fatto nulla: tra essere e non essere più Hvidovre, ha vinto la seconda opzione. Al contrario di KB e B 1903. Nonostante un ottimo seguito di appassionati, a inizio anni novanta il KB era scivolato in seconda  con scarse prospettive, mentre il B1903, pur vincente, non attirava più di un paio di migliaia di spettatori alle proprie partite. Quando il sostegno finanziario di un imprenditore locale termina, a scongiurare la sparizione arriva l’idea della fusione. Così, mentre nasce il nuovo ed accogliente Parken, lo stadio nazionale da cui assistiamo a Copenaghen-Viborg, le due società decidono di unire gli sforzi e fondare un nuovo club cittadino: l’accoppiata produce un marchio forte, il “Copenaghen FC” e un’unica squadra con il brand della capitale fatalmente attira pubblico. Tra questi non ci saranno romantici e puristi ma piuttosto tanti figli del marketing del calcio moderno. Pazienza. Come Shakespeare fa recitare ad Amleto, niente è buono o cattivo se non è tale nel nostro pensiero.

Paolo Sacchi

Copenhagen 0-1 Viborg

Marcatore: Bleidelis 67

Copenhagen: Kihlstedt, Jacobsen (Christiansen 73), Svensson, Albrechtsen, Tobiasen, Silberbauer, Røll (Bisgaard 73), Nørregaard, Bergvold, Zuma (Møller 69), Alvaro. All: Backe

Viborg: Christiansen, Andersen, Pedersen, Rosén, Keller, Magleby, Glerup, Poulsen (Winther 63) Bleidelis, Bidstrup, Frederiksen, (Tchoutang 81). All: Christensen

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.