Sibi Sheikh, il portiere della Virtus Verona impegnato in questi giorni con la sua nazionale in Coppa d’Africa, ieri è stato tra i testimoni oculari di un episodio che a suo modo rimarrà negli annali delle giornate memorabili legate al calcio. Non tanto per la gara, che comunque resterà nella storia del Gambia, che battendo la Mauritania ha festeggiato il primo successo nella fase finale della competizione, bensì per quanto è successo agli avversari alla presentazione delle squadre. Al momento dell’esecuzione dell’inno della Mauritania, l’altoparlante ha trasmesso un motivo che ha suscitato la perplessità di tutta la delegazione e dei giocatori in campo, in quanto non riconosciuto da nessuno. Dopo qualche momento d’imbarazzo, ne è stato suonato un altro, ma è risultato sbagliato pure quello.
A quel punto, nell’incredulità generale, i giocatori mauritani hanno chiesto di poter cantare il loro inno a voce, senza la musica, prima di essere sovrastati dalla terza riproduzione, che peraltro ri-diffondeva il primo inno sbagliato. Poi finalmente è iniziata la partita.
Tutto bellissimo, prendendo a prestito una frase celebre del grande Bruno Pizzul, ma non possiamo dire che sono cose che capitano solo in certi posti, perché a volte tutto il mondo è paese. Come potrebbe sostenere chi di noi era presente nel 2001 a Marassi a Italia-Sudafrica di rugby. A quel test match, il primo degli Springboks post-apartheid dalle nostre parti, anziché “Nkosi Sikelel’ iAfrika”, già celebre inno nato nel 1994 anche per testimoniare la rinascita sudafricana, autenticamente “libero”, venne diffuso “Die Stem”, il precedente, tra gli sguardi un po’ così della delegazione ospite.