Chievo v Genoa – Intervista a Marco Pacione

Il Signor ‘Bravo Ragazzo’. Fosse nato in Inghilterra Marco Pacione l’avrebbero soprannominato così, Mr ‘Nice Guy’. Le sue doti umane oltre che professionali gli hanno permesso di essere apprezzato, oggi come ieri, indistintamente da addetti ai lavori e semplici tifosi. Sposato con Esmeralda da ventitré anni, con un figlio ventenne, Gianmarco, studente di Lettere e ovviamente appassionato di calcio e delle storie dei suoi protagonisti, soprattutto del passato (“con un amico si divertono a raccontarle in un loro blog”), prima di indossare giacca e cravatta nel ruolo di Team Manager gialloblù Pacione è stato un cannoniere di Serie A. Spalle larghe, abile ‘a tenere alta la squadra’, era un lottatore con il fiuto del gol. “Da calciatore mi riconoscevo nello spirito inglese. Davo tutto ciò che avevo dal primo all’ultimo minuto e giocavo soprattutto per la squadra”. Il football britannico: una passione personale da sempre… “Lo adoravo negli anni Settanta e mi piace tuttora. Non ha perso nessuna delle caratteristiche che l’hanno reso speciale in ogni epoca. Lì si respira la genuina passione. Mi ha sempre affascinato lo spirito che anima i giocatori e tutto l’ambiente attorno, la loro visione dello sport, lontano da pressioni e polemiche. Gli inglesi sono dei maestri anche per come l’hanno saputo gestire e i fatturati parlano da soli. Sanno promuovere tutto il movimento e non soltanto le squadre più celebri, creando interesse crescente a livello nazionale. Assistere alle partite dal vivo poi è un’esperienza indimenticabile quanto gratificante, indipendentemente si tratti di Premier League o quarta divisione”. Torniamo in Italia e alla carriera da giocatore che si è sviluppata tra Atalanta, Juve, Torino e altri grandi club. E un rapporto speciale: quello con Osvaldo Bagnoli. “Oltre a un grande tecnico lo reputo una persona meravigliosa. Non nego che tra noi sia nato un particolare feeling, un rapporto di fiducia reciproca aldilà dell’aspetto puramente professionale. Ho trascorso anni bellissimi, prima col Verona poi l’ho raggiunto all’inizio della sua esperienza con il Genoa. Avevano appena acquistato Agueilera e Skuhravý, due fantastici attaccanti, ma aveva bisogno di un giocatore d’affidamento che facesse all’occorrenza qualsiasi tipo di ruolo. Per le mie caratteristiche tecniche e personali scelse dunque me”. I tifosi rossoblù non più giovanissimi di certo hanno ancora negli occhi quel campionato 1990/91: il migliore Genoa del dopoguerra… “Eravamo una squadra forte. Facevo la terza punta dietro a quei due mostri sacri, una coppia gol tra le migliori al mondo, supportata da una squadra di livello assoluto: Signorini, Collovati, Branco, Ruotolo, Eranio e Bortolazzi, con in più una panchina davvero di qualità. Che avventura fantastica: arrivare quarti fu un risultato enorme. Proprio recentemente ho rivisto Skuhravý. È stato un piacere reciproco. L’ho trovato in forma, col capello lungo e lo spirito di una volta”. Avevate mandato fuori dalle coppe europee per la prima volta nella sua storia la Juventus, battendola all’ultima giornata di campionato… “Era la Juve di Maifredi. Vennero a giocarsi la qualificazione alla Coppa UEFA con un atteggiamento un po’ presuntuoso e qualche dichiarazione ai giornali che ci caricò ulteriormente: finì 2-0 per noi in un Marassi che ribolliva di gioia. Però con la Juve ho vissuto anche un’esperienza indimenticabile quando ne ho indossato la maglia. Ho partecipato alle vittorie dello scudetto e della Coppa Intercontinentale in un’epoca in cui la società primeggiava nel mondo. Per me, ventenne, fu un sogno impagabile giocare con campioni del calibro di Scirea, Platini, Cabrini, Laudrup…”. Finita la carriera è arrivato il Chievo: l’origine della storia però  non tutti la conoscono. “All’inizio degli anni Novanta, quando giocavo ancora, rimasi fermo per sei mesi a causa di un problema d’idoneità fisica. Qui al Chievo c’era come DS Vincenzo Traspedini, che avevo conosciuto anni prima. Grazie a lui e alla volontà di Gigi Campedelli mi fu consentito di allenarmi con la squadra, all’epoca ancora in C e allenata da Malesani e De Angelis. Fu un gesto di grande sensibilità. Una volta terminata la carriera agonistica, col grande salto in Serie B, al Chievo stavano strutturando l’organico: volevano ricoprire un certo ruolo con una persona affidabile e Luca Campedelli, che nel frattempo aveva sostituito il padre purtroppo venuto a mancare, mi ha convocato. Da allora questo club è diventato parte della mia vita”. Pur non avendo vestito la maglia gialloblù, Pacione oggi è nei cuori di tutti i tifosi. “Amo il Chievo, sono diciotto anni che lavoro qui e questo sicuramente crea un legame particolare. Ho cercato di svolgere i miei compiti con professionalità, con la gioia di far parte di questa storia e l’orgoglio di collaborare con due istituzioni del club come il presidente e Giovanni Sartori. Hanno costruito passo dopo passo qualcosa d’importante e sono contento di aver vissuto questa straordinaria esperienza collaborando con loro”. Quello di Pacione oggi è un ruolo che si potrebbe definire a ‘tutto campo’… “Mi sento a mio agio qui perché è un incarico che si apre a 360 gradi. Essere un trait d’union tra società e squadra è un compito impegnativo quanto gratificante. Principalmente il mio compito è legato al rapporto con i giocatori. Da parte mia metto il massimo dell’impegno per svolgerlo al meglio. Spero con la mia esperienza, lavorando con umiltà, di dare il supporto che mi è richiesto”. A proposito di calciatori, in diciotto stagioni ne sono passati molti da queste parti. Chiediamo due nomi: chi ha sorpreso di più e chi non ha confermato le aspettative. “Le variabili nel calcio sono molte e dipendono da tanti fattori. Chi mi ha sorpreso è stato Pellissier. All’epoca del primissimo ritiro con noi, prima di andare in prestito alla SPAL, arrivava dalla Serie C. Non avrei mai immaginato che un giorno sarebbe arrivato in nazionale e segnato oltre cento reti con la maglia gialloblù. Le qualità si vedevano ma allora era ancora un po’ acerbo. Essere qui a parlare di lui oggi e pensare al suo percorso con il Chievo è qualcosa di eccezionale. Ricordo ancora il suo primo gol, a Parma. Una grande emozione. Chi mi ha un po’ deluso? Uribe e Cruzado secondo me avevano delle qualità importanti e non sono riusciti a esprimerle e mi è spiaciuto. Sia chiaro, sono due bravi ragazzi con delle capacità ma qui rientriamo nel discorso delle variabili del calcio. Cruzado ha fatto cose importanti con la nazionale peruviana ed è un vero peccato non sia riuscito a imporsi qui in Italia”. Chiudiamo con un’istantanea da dietro le quinte: il presidente visto da vicino: “È un uomo molto simpatico e garbato. Posso dire che tra noi ci lega anche un rapporto di amicizia. Con lui si scherza spesso. Anzi, rallegra le giornate con le sue battute. Il clima che si respira in sede come al campo d’allenamento è sempre gradevole anche per questo motivo. Se sono così fiero di essere al Chievo e se lavoro da così tanti anni per questa grande società è anche grazie a lui”.

di Paolo Sacchi /Mondo Chievo 16)

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Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.