Il 5 marzo di cent’anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini. Della sua produzione culturale credo oggi vada soprattutto ricordata la sua straordinaria capacità di analisi.
Pasolini è stato il primo a intuire la spaccatura che stava avvenendo con l’avvento della televisione e, di conseguenza, la trasformazione della società. Una profonda virata verso, scriveva, «una ideologia edonistica voluta da un nuovo potere che sta attuando una delle peggiori repressioni della storia umana». «Una repressione idealmente peggiore rispetto a quelle delle dittature», in questo caso attraverso un nuovo sistema d’informazione.
Distopici o meno, i suoi pensieri riletti oggi sembrano trovare riscontri in quel che ci circonda. Anzi, in quel che siamo. E dire che mezzo secolo fa la tv aveva due soli canali, non esistevano né Instagram né i centri commerciali. La sua capacità d’analisi tracciava il percorso che la società ha inconsapevolmente seguito, trasformandosi in liquida e modificando i punti di riferimento. Uno stravolgimento che lo scrittore aveva avuto la sensibilità di prevedere osservando come la società contadina italiana, spina dorsale di un mondo pragmatico in cui la necessità dei beni si limitava all’essenziale, stava scomparendo annientata da una spinta che vedeva milioni di persone soggiogate da un nuovo modello culturale che lo scrittore identificava come “edonismo di massa”. Da tempo, Pasolini segnalava il pericolo dell’omologazione, di una subdola manipolazione delle coscienze. Del pericolo di una nuova società di massa, attratta dai consumi, da un nuovo e profondo interesse egoistico e di una distorta percezione della realtà generata dai media.
Una omologazione al ribasso di una scala di valori che si sarebbe allineata al messaggio ricevuto dalla televisione, oggi affiancata se non moltiplicata dai social network.