MC11 – Intervista a Ervin Zukanović

“Parliamo in italiano o inglese?” Al suo arrivo in Italia, Ervin Zukanov comunicava nella lingua della terra d’Albione. Tra dubbio e cortesia, la domanda era legittima anche in previsione di questa intervista. “In italiano, certo” è stata stavolta la sua risposta.  Ervin – pardon, “Zuka” (“tutti mi chiamano così, pure mio fratello: ormai sono Ervin solo per mia madre”) – adesso si esprime con un ampio vocabolario in italiano, appreso a tempo di record. Ragazzo sveglio, Zukanović: solare, garbato, felice di arricchire la propria vita di nuove esperienze quanto posato nell’affrontarle. Sempre guardando oltre. Un esempio? Proprio la conoscenza delle lingue straniere. “Ne parlo quattro. Cinque, se consideriamo la vostra, che sto cercando di migliorare. Per me imparare le lingue è un aspetto importante: un domani mi potrebbero servire, se non addirittura essere necessarie per la mia vita, personale o professionale. Banalmente, penso anche soltanto a quando si va in vacanza in un posto all’estero: esprimersi e saper comunicare con le persone del luogo è a volte fondamentale.

Sono trascorsi sei mesi dal tuo arrivo in serie A: com’è stato l’impatto?

Positivo, senza dubbio. Ho sempre apprezzato il calcio italiano. Arrivavo da un campionato che non è certo paragonabile alla serie A, un grande torneo in cui da sempre militano grandi calciatori: farne parte è per me un importante passo in avanti. Ora penso a lavorare, voglio migliorarmi quanto possibile.

E al Chievo finora com’è andata?

In maniera sicuramente positiva. Anche se, devo ammetterlo, all’inizio non è stato facile. Proprio per una questione di lingua: quando non capisci, tutto sembra più complicato di quanto lo sia in realtà. Poi è chiaro, qui il calcio è molto differente rispetto al Belgio, dove ho giocato tanti anni. Superato il primo periodo, credo di essermi riuscito ad adattare velocemente, sia per quanto riguarda l’aspetto sportivo che nella mia vita privata. Dunque sì, tutto sta andando per il meglio. Anche perché la mentalità italiana poi non è molto diversa che quella che abbiamo in Bosnia.

Ovvero?

Italiani e bosniaci affrontano la vita con tranquillità, in maniera rilassata. Amiamo un ritmo più lento: sederci a parlare davanti a un caffè, con grande attenzione agli affetti. Siamo due popoli che si godono ogni momento: la fretta non fa parte del nostro carattere.

Tu sei nato a Sarajevo: una città divenuta purtroppo famosa negli anni novanta.

Il passato fortunatamente è alle spalle. La mia è una città molto bella e da qualche anno ormai, soprattutto in estate, piena di turisti. L’ho detto: noi siamo un po’ come gli italiani, sappiamo accogliere le persone, con gentilezza, calore e cordialità. Sarajevo è una città giovane, viva. Il centro è splendido: ci sono dei posticini meravigliosi in cui gustare piatti gustosissimi, non solo ćevapi e burek. La cucina da noi è un po’ come quella italiana, che davvero adoro: anche in Bosnia ogni località ha le sue specialità. Sono certo che anche i palati fini non ne resteranno delusi.

I primi calci a un pallone li hai tirati lontano da casa.

Dopo lo scoppio della guerra con la mia famiglia in principio ci siamo trasferiti a Lubiana, poi per sei anni in Germania: proprio lì ho iniziato a giocare a pallone. Da solo. Finché un giorno mio padre, vedendomi palleggiare per conto mio, mi chiese se avessi voluto entrare a far parte di una squadra. Da quel giorno è iniziato tutto.

Il tuo debutto tra i “grandi” è avvenuto con la maglia una squadra speciale: lo Željezničar di Sarajevo, i “ferrovieri”.

Sì, indubbiamente.  È la miglior squadra bosniaca. Ha fornito molti giocatori alla nazionale, fin dai tempi della Jugoslavia. Željezničar significa “ferroviere”: il club si chiama così perché è stato fondato proprio da un gruppo di ferrovieri. Quando segnano un gol, si sente un fischio della locomotiva. I tifosi sono molto passionali. È stato fantastico giocare per loro: ne seguo sempre i risultati.

Tornando a oggi, la tua famiglia ti ha seguito in Italia?

Mia moglie e mio figlio sono qui con me, mentre i miei genitori e mio fratello vivono a Sarajevo, anche se vengono spesso a trovarmi. Di solito vado da loro in Bosnia in estate: abbiamo una casa appena fuori Sarajevo, in collina: anche se il centro della città è affascinante, preferisco abitare in mezzo alla natura e alla tranquillità.

Com’è invece vivere a Verona?

Qui si sta benissimo, la qualità della vita è eccellente. Sia dal punto di vista personale che professionale. E poi, quanta arte, quanta storia. Sarajevo a parte, Verona è il posto migliore in cui sono mai stato. Non avrei potuto sperare in meglio e non la cambierei mai, ad esempio, con Milano: non credo faccia per me.

Dunque i tifosi gialloblù possono stare tranquilli: nessun trasferimento in vista verso Milan o Inter…

Ah no, qui sono felice: voglio godermi questo periodo al massimo e al meglio.

E dire che il primo “approccio” con l’Italia lo avevi avuto già in Belgio, all’Eupen, nella stagione 2010/11.

Per un mese ho avuto come allenatore Eziolino Capuano: un personaggio molto simpatico. L’aspetto curioso dell’Eupen è che nello spogliatoio era l’italiano la lingua più diffusa: oltre al proprietario, erano italiani la maggior parte dei giocatori. Di sicuro mi è servito per capirne la mentalità.

Al Kortrijk e al Gent invece ti ricordano anche per i tuoi gol, soprattutto su punizione.

Ho segnato molto in quel periodo. Finora col Chievo ho tirato due punizioni ma non sono rimasto soddisfatto dell’esito. Devo capirne il motivo: forse, come facevo in Belgio, dovrei riprendere quel lavoro specifico sui calci da fermo che facevo al termine delle sedute di allenamento. In Italia gli allenamenti sono più duri e solitamente al termine delle sedute sono molto affaticato. Però di certo voglio perfezionarmi in questo aspetto.

Capitolo nazionale: dopo la vicenda del visto negato per i mondiali, è una storia chiusa o si può riaprire?

Il passato è passato. Il nuovo CT è venuto a vedermi in Chievo-Torino. Al termine della gara mi ha parlato: è stato un dialogo positivo. Personalmente sono motivato e a sua disposizione.

Per chiudere: un messaggio di Zuka ai tifosi gialloblù?

Il mio primo pensiero è dare il mio miglior contributo in campo per raggiungere il nostro obiettivo: la salvezza. Con Fiorentina e Juventus abbiamo perso ma chi ha visto le partite sa che sono state due prestazioni positive. Sono certo che se continueremo a giocare così i risultati arriveranno. E con loro, di conseguenza, la salvezza.

di Paolo Sacchi, da Mondo Chievo 11

Zukanovic

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.