Il valore aggiunto (intervista a Walter Bressan)

NON È NECESSARIO ESSERE SOTTO AI RIFLETTORI PER VENIRE APPREZZATI. IL PORTIERE DI RISERVA È UN RUOLO CHE NESSUN ALLENATORE SOTTOVALUTA: OLTRE ALLE QUALITÀ TECNICHE, CHI LO RICOPRE DEVE POSSEDERE REQUISITI PROFESSIONALI NON COMUNI E UNA SPICCATA ATTITUDINE AL LAVORO DI GRUPPO. IN GIALLOBLÙ DALL’ESTATE 2015, FIN DA SUBITO WALTER BRESSAN IN CAMPO E FUORI SI È GUADAGNATO LA STIMA DI COMPAGNI E ADDETTI AI LAVORI. 

Walter, il portiere di riserva è ruolo un piuttosto particolare. Come lo descriveresti?

Da quando ho iniziato a giocare al calcio ho capito che sempre, comunque e indipendentemente da quando e quanto si scenda in campo, attraverso il proprio comportamento si può incidere positivamente in un gruppo. Poi è chiaro che ognuno di noi ha un proprio ruolo: l’importante è saperlo interpretare con intelligenza. Qui al Chievo il mio compito è chiaro: devo allenarmi al meglio, come se dovessi scendere in campo ogni domenica. So bene che davanti a me ho due compagni fortissimi. Ciò non significa non dover dimostrare di essere un professionista al massimo livello. Tener un comportamento corretto fa star bene con se stessi oltre che aiutare la squadra.

In questo senso quanto conta saper “far gruppo”?

A me viene naturale. In carriera, anche quando ero titolare, ho sempre cercato di stare vicino ai compagni e sostenerli. Qui al Chievo ho trovato un gruppo molto affiatato, al di là della stima reciproca che unisce tutti. Il mio ruolo comunque resta quello di un giocatore che sa di dover essere sempre a disposizione e farsi trovare pronto qualora venisse chiamato a scendere in campo. Nelle dinamiche di un gruppo chi sa di avere meno spazio, come il sottoscritto o Gennaro Sardo ad esempio, può sempre aiutare gli altri. Talvolta siamo in grado di vedere alcuni aspetti con maggiore lucidità o serenità rispetto a chi gioca sempre.

Sei cresciuto nel vivaio dell’Atalanta e dopo una scalata professionale da tre stagioni sei in serie A. Sensazioni?

La mia carriera si è svolta soprattutto in serie B. Tra i cadetti ho giocato nove stagioni con quasi trecento presenze. Ricordo con piacere gli anni al Sassuolo, dove abbiamo sfiorato una clamorosa promozione in A, così come è accaduto al Varese proprio con Rolando Maran in panchina [con discussa finale playoff persa con la Sampdoria, N.d.R]. Mi considero un buon portiere che ha saputo superare anche qualche momento difficile e ora è felice di essere al Chievo. Respirare l’aria della serie A è una grande soddisfazione. Darò sempre il massimo per tenermela stretta, soprattutto in un ambiente gradevole come questo. Se poi potrò un giorno contribuire anche scendendo in campo, tanto meglio.

Adesso manca solo il debutto in gialloblù. Cosa dice Maran, si può fare?

L’opinione che ho per il mister non cambierebbe comunque. Tra noi ci lega un rapporto di stima e una conoscenza reciproca che dura da anni. Anzi, oltre alle capacità specifiche di tecnico, la gestione dei rapporti con tutti gli elementi della rosa credo sia una delle sue più grandi qualità. Ci tengo solo a dire che, a prescindere dalle possibilità di giocare, da parte mia il mio impegno in allenamento sarà sempre altissimo: far parte in questo gruppo vale più di ogni altra cosa. Qui poi ho conosciuto persone stupende. Un esempio? Lorenzo Squizzi. È stata una grande fortuna averlo incontrato. Anzi, rimpiango che le nostre strade non si siano incrociate prima. È un grande professionista da cui sto imparando molto.

Nelle ultime settimane sono arrivati sette punti in tre gare. Il Chievo sta disputando un ottimo campionato, sei d’accordo?

Come si potrebbe dire il contrario? Siamo una squadra in cui chiunque scende in campo gioca bene, sputa sangue per dare il massimo. È una gioia vedere come la squadra sia compatta. Tutti si aiutano vicendevolmente, tutti lottano con grande impegno per terminare ogni gara con un risultato positivo. La classifica parla chiaro.

Che sia dalla panchina o dalla tribuna come vivi la partita?

Con grande intensità, senza eccezione, che mi trovi a bordo campo piuttosto che sugli spalti. Partecipo alla gara in maniera totale, mi emoziono come fossi anche io sul terreno di gioco: esulto ogni volta che segniamo o Stefano [Sorrentino, N.d.R.] fa una parata. Mi alleno tutti i giorni insieme ai miei compagni, vivo il pre-partita a fianco a fianco di chi giocherà e so bene cosa significa preparare una partita, l’impegno e la concentrazione necessaria. Conosco la tensione e le problematiche che di volta in volta si devono affrontare. Ci sono aspetti che il grande pubblico ovviamente conosce meno o ignora del tutto, come quando a volte capita che qualche mio compagno non sia al top, magari perché sta rientrando da un infortunio e dunque stringe i denti per essere in campo. Così soffro con lui e quando lo vedo disputare una buona gara ne sono doppiamente felice.

Ai tuoi figli hai già iniziato a insegnare a giocare a calcio?

Per ora no, sono troppo piccoli: Filippo ha cinque anni mentre Diego appena due. In ogni caso, per quanto sarebbe bello vederli seguire le orme di papà, li lascerò liberi di scegliere il proprio percorso nella vita. Non mi intrometterò nelle loro scelte, se non per dar loro qualche consiglio. Proprio come mio padre, che è stato calciatore, ha fatto con me.

Il 14 febbraio era la giornata degli innamorati. Hai festeggiato?

Nella serata di San Valentino con alcuni compagni siamo stati ospiti ad una serata di beneficenza organizzata dalla Onlus Cuore Chievo. Sono appuntamenti a cui è importante essere presenti. Con mia moglie Giuditta ci siamo festeggiati a cena fuori in settimana. Ci frequentiamo da quando giocavo ad Arezzo, in serie B. Da allora siamo inseparabili: anche se nel frattempo ho cambiato diverse città e club, lei è rimasta il mio punto fermo. Se mi dà dei consigli? Mettiamola così: sta giusto iniziando a imparare le regole del calcio. Scherzi a parte, si diverte a guardare le partite ma il calcio non rientra tra le sue principali passioni. Quel che non mi fa mai mancare è il suo sostegno, ed è ciò che conta in una coppia.

Le carriere dei portieri solitamente durano a lungo: obiettivi per il futuro?

A fine gennaio ho compiuto 36 anni: mi sento bene, in ogni senso. Mi alleno con gioia, sono estremamente felice di essere qui e giocare in una società eccellente a cui sono grato per avermi dato la possibilità di continuare la mia esperienza in serie A. Oggi penso solo ad allenarmi bene e spero di giocare ancora a lungo, almeno finché testa e fisico mi sosterranno. Certo, l’età e l’esperienza mi portano anche guardare oltre. Sono una persona a cui piace imparare sempre nuove cose e, chissà, magari alcuni aspetti legati alla mia professione potranno essermi utili in futuro. Quel che mi auguro è di rimanere nell’ambiente, sempre e comunque: il calcio è il mio mondo e vorrei continuare a farne parte una volta terminata la carriera agonistica. Come dice il detto? Chi vivrà, vedrà. Il domani è ancora lontano: oggi c’è solo il Chievo, lo spogliatoio e il campo da gioco.

Paolo Sacchi

(in esclusiva per Mondo Chievo)

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.