Vediamoci Jaro

È arrivato il suo momento: la fase d’ambientamento di Jaroszynski in Italia è ormai conclusa. Alla sua prima esperienza fuori dal suo Paese, Pawel sta iniziando a gustarsi il calcio di serie A. Prima l’antipasto in coppa e un pizzico di San Siro, poi finalmente il piatto forte col debutto dal primo minuto in Chievo-Roma, chiuso tra gli applausi. tante le aspettative per un ragazzo che in campo si fa notare anche e soprattutto per il suo grande dinamismo. E che nel cuore ha un grande sogno.

Pawel, è la tua prima intervista in cui parli un po’ in italiano. Allora ti diciamo: “benvenuto”. Grazie! Devo ammettere che i primi giorni qui in Italia sono stati difficili. Non conoscendo la lingua, ogni comunicazione era problematica. A partire da quelle col mister e i compagni di squadra. Nel frattempo il mio italiano sta migliorando. Non capisco ancora tutto ma posso dire di sentirmi a mio agio e assolutamente felice di essere al Chievo.

Poco dopo il tuo arrivo, al Chievo è arrivato Stepinski. La presenza di Marius è importante, penso per entrambi, anche nell’ambientamento nello spogliatoio. È un amico e mi ha aiutato molto, anche con la lingua. Come in questa intervista [ride, Stepinski è seduto al suo fianco].

Quali differenze hai trovato tra la Ekstraklasa e la serie A? L’aspetto più evidente è la qualità complessiva. È naturale sia così: qui ci sono grandi club e il campionato è più ricco, il che significa calciatori migliori. In Polonia nella massima divisione l’età media dei giocatori è più bassa: si utilizzano molti giovani, con l’obiettivo di farli crescere e imparare. Altra differenza fondamentale è la tattica. Qui in Italia gli allenatori curano questo aspetto con grandissima attenzione e ogni squadra ha propri concetti e moduli di gioco. Al contrario, nel nostro Paese si dà maggior importanza alla condizione fisica mentre si lavora decisamente meno sul piano tattico.

L’approccio col calcio italiano è avvenuto attraverso Rolando Maran. Come ti sei trovato? Il mister mi ha aiutato molto fin da subito. Mi ha detto di non aver fretta, di non preoccuparmi. Mi ha fatto ambientare con calma, passo dopo passo. Abbiamo lavorato molto sulla posizione, sui movimenti in campo e sulla tecnica. Insomma, mi ha preparato al meglio per debuttare in un campionato complicato come il vostro. Sono felice mi abbia dato la possibilità di giocare nelle partite con Hellas, Inter e Roma e ora spero di avere tante altre occasioni di scendere in campo.

Com’è il rapporto coi compagni? Li osservo sempre, sia in campo che nello spogliatoio. Parlo tanto con loro, chiedo consigli, mi confronto ogni giorno sotto ogni aspetto, sia tattico che personale. Il Boss [Cesar], Valter [Birsa], Hete e tanti altri sono un punto di riferimento per me che devo studiare e migliorare. È importante sapere di poter contare su giocatori della loro esperienza e qualità.

Parliamo di Chievo-Roma: qual è stata la sensazione dal debutto da titolare in serie A? Innanzitutto una grande gioia. Quando il mister mi ha detto che avrei giocato ero felicissimo. Al fischio d’inizio dell’arbitro, l’adrenalina e l’emozione si sono trasformate in concentrazione. Ho affrontato la gara restando tranquillo e cercando di dare tutto. A fine partita ero a pezzi, stanchissimo. Il mister e i compagni mi hanno detto che era andata bene e di continuare così: una bella soddisfazione.

Facciamo un passo indietro: come sei diventato calciatore? Il calcio è una passione di famiglia. Da bambino mia madre mi portava sempre alle partite. Seguivamo mio padre Piotr che ha giocato in Ekstraklasa nel Łęczna come difensore centrale. Quando potevo andavo agli allenamenti. Osservavo tutto: per me è stata un’ispirazione. Sarà che il pallone ce l’abbiamo nel sangue: anche mio fratello Kuba, che ha diciotto anni, è calciatore.

I tuoi genitori sono già venuti a vederti qui a Verona? Non ancora, spero riescano a farlo presto conciliando i loro impegni di lavoro. Mia è maestra d’asilo, mentre mio padre, che è uscito dal mondo del calcio, ora lavora in miniera. Qui vivo con mia moglie Patrycja. Al contrario di me, lei parla molto bene l’italiano. È avvantaggiata: ha vissuto a Milano dieci anni come studentessa.

Allora ti farà anche dunque da guida turistica. Esattamente. Mi ha portato in luoghi bellissimi come Venezia e Portofino. Appena possibile mi piacerebbe visitare Roma. Verona? Ne siamo innamorati.

Da bambino qual’era il tuo calciatore preferito? Eto’o, senza dubbi. Avevo il suo poster in camera. Sarà che ho sempre adorato il Barcellona ma per me lui è stato un grandissimo al di là della maglia indossata. Ho ancora in mente alcuni suoi gol. Indimenticabili.

Un attaccante idolo di un futuro difensore? Questa è curiosa: spiegacela. È che all’inizio della mia carriera giocavo da centravanti. Anzi, per anni ho ricoperto questo ruolo: quando guardavo le partite in tv seguivo soprattutto gli attaccanti. Quando sono entrato nella squadra Primavera del KS Cracovia, l’allenatore mi disse che avevo tutte le caratteristiche per giocare da terzino. Così mi ha cambiato posizione.

Nei panni di bomber a chi assomigliavi di più tra Pellissier, Inglese e Stepinski? Un po’ di tutti e tre. Ero molto veloce e segnavo pure tanti gol. [ride].

Invece da terzino cosa fai valere? La velocità resta un punto di forza, così come il fisico. La mia caratteristica migliore? Credo siano i cross.

Maglia numero due: qual è il motivo? Nel Cracovia ho sempre indossato il quarantaquattro. Quando sono arrivato qui è stato come chiudere un capitolo della mia vita e aprirne un altro. Così, tra le tante novità, ho scelto di cambiare anche il numero di maglia. Il due era disponibile e dunque ho pensato che mi potesse rappresentare bene come difensore.

Rotto il ghiaccio col Chievo, ora cosa ti aspetti? Il mio obiettivo è cercare di poter giocare con continuità. È un aspetto importante anche per le mie aspettative: il mio sogno è entrare definitivamente nel giro della nazionale e per farlo devo mettermi in evidenza con il Chievo.

Anche se a noi italiani fa male parlarne, Russia 2018 è alle porte. Sarebbe straordinario partecipare ai Mondiali. So che non sarà facile, però. In nazionale finora ho disputato qualche partita e per essere convocato servirà giocare spesso da qui a fine campionato. Tempo ce n’è ancora. Vedremo cosa potrà succedere.

Di sicuro i tifosi del Chievo faranno il tifo per te. Mi farebbe piacere. Per ora devo ringraziarli per il sostegno che mi hanno dato da quando sono qui. Sappiano che darò il massimo con questa maglia e che spero di ripagarli sul campo del loro affetto.

Paolo Sacchi

(esclusiva Mondo Chievo, foto Renzo Udali/AChievoVerona)

jaro

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.