Chiamatemi Boss – intervista a Boštjan Cesar (MC 18)

Esperienza ed affidabilità alla massima potenza. Imperatore della difesa, boss dell’area di rigore: da sei stagioni al Chievo, Boštjan Cesar svetta nel territorio in campo in cui il gioco si fa duro. Sei tornei in serie A hanno permesso al numero 12 gialloblù di essere un valore aggiunto del club e un pilastro della nazionale slovena, di cui è recordman di presenze.

Boštian, partiamo dal momento attuale: si sta chiudendo una grande stagione. Sensazioni?

Finora è stata una stagione eccezionale per la nostra squadra. Sono stati dieci mesi molto positivi ma mancano ancora tre partite e noi vogliamo continuare su questa strada fino alla fine.

Allora aspettiamo la fine per trovare l’aggettivo giusto al campionato del Chievo? Da eccezionale potrebbe diventare indimenticabile.

In effetti è così: abbiamo ancora la possibilità di fare il record di punti. Eguagliare la grande squadra del primo campionato di serie A sarebbe un risultato straordinario. Non sarà semplice anche perché dovremo affrontare tre partite difficili contro Fiorentina, Roma e Bologna. In ogni caso ci proveremo.

Quale è il segreto di una stagione così bella?

Penso sia il fatto di esserci preparati al meglio fin dal ritiro estivo. È stato fondamentale partire bene, lavorare concentrati e con le motivazioni giuste. In più, nell’ultimo biennio sono arrivati giocatori che ci hanno permesso di fare il salto di qualità. Come Birsa, ad esempio, ma non solo lui. Siamo una squadra completa.

Tu, Birsa, Radovanović, Hetemaj… la squadra ha anche un’anima slava, balcanica.

La nostra mentalità è perfettamente in linea a quella del Chievo: non molliamo mai. Uno spirito che accomuna tutti i compagni, slavi o non slavi. Senza dimenticare il nostro allenatore: l’anno scorso era arrivato in un momento difficile e con lui abbiamo terminato la stagione alla grande. Quest’anno è stato importante lavorare insieme in maniera completa. I risultati sono arrivati fin da subito. Abbiamo dimostrato qualità e organizzazione tattica. Lo dicono tutti: il Chievo gioca un bel calcio, sia in fase offensiva che difensiva.

Cesar

Cesar e il Chievo: più della metà delle presenze in carriera sono in gialloblù. Lo avevi notato?

Quando sono arrivato qui nel 2010 mi era immediatamente piaciuto il calcio italiano. Per non dire dell’ambiente del Chievo e della vita a Verona: mi sono innamorato subito di questa città. Com’è che si dice? Qui “sto da dio”. Dunque spero di aumentare ulteriormente il numero di presenze perché conto di rimanere a lungo.

Cesar a casa propria: è tosto come in campo oppure si scioglie?

A casa sono una persona estremamente tranquilla, rilassata. Con mia moglie Mives siamo insieme da quando ho iniziato a fare il calciatore. Ha seguito tutta la mia carriera e ne abbiamo condiviso le tante gioie. La sua presenza è importante: mi consiglia, mi sostiene nelle difficoltà. Parliamo molto tra noi, il che è un aspetto importante nella vita di coppia.

Passioni extra-calcistiche?

Amo gli animali, soprattutto i cani. In passato avevo un boxer: si chiamava Attila, è morto sei anni fa. Ho fatto passare del tempo, aspettando il momento giusto per prenderne un altro. Così dieci mesi fa è arrivato Rocky. Ovviamente è un boxer anche lui. Adoro quando andiamo a passeggio insieme. Mi diverte e mi permette di staccare la spina, con la testa e i pensieri. Chi ha un animale può capirmi: a volte è migliore la loro compagnia che quella degli uomini [ride].

Attila e Rocky, nomi di due grandi lottatori.

Si dice che cani e padroni si assomiglino, no? [ride]

Durante la tua carriera hai portato tua moglie in giro per l’Europa. È bello viaggiare?

Abbiamo vissuto in Francia e in Inghilterra ma è qui a Verona che anche lei ha trovato il luogo ideale in cui vivere. Frequenta le mogli dei miei compagni e spesso usciamo a coppie con Valter [Birsa] e Ivan [Radovanović]. Ci troviamo bene insieme: poi Valter è un burlone, ha grande energia e ci fa sempre divertire.

Valter ti sta superando nella classifica dei cannonieri sloveni del Chievo.

Sta dimostrando di essere un eccellente giocatore. La scorsa è stata una stagione importante in cui si è ambientato e inserito nel gruppo. Ora sta raccogliendo quanto merita, anche come marcatore.

Siete una squadra con tanti giocatori di personalità. Ti consideri uno dei leader?

Preferisco siano gli altri a dirlo. Di sicuro sono stato orgoglioso di indossare la fascia da capitano nelle occasioni in cui è accaduto. È una delle soddisfazioni più importati della vita di un calciatore: è un segno di stima. Si deve dimostrare di essere leader sia in campo che fuori. So di avere un’età in cui posso essere un esempio per i giovani, aiutare i compagni stranieri ad integrarsi nel gruppo. Quando si è coesi, come accade nel Chievo, si creano le premesse per ottenere buoni risultati.

A proposito di fascia: quanto ti dispiace non indossarla agli Europei?

Tanto. Giocare gli Europei era uno dei tre sogni della mia carriera, con i Mondiali e la Champions’ League. I primi due l’ho concretizzati, il terzo mi è scappato e forse non tornerà più. E dire che ci siamo andati davvero vicini: abbiamo buttato via una partita importante con la Svizzera e poi perso il playoff con l’Ucraina. In questi tredici stagioni in nazionale abbiamo ottenuto grandi soddisfazioni però brucia non essere alla fase finale. Proprio in Francia, poi, un Paese che conosco bene.

“Boss” o “Imperatore”?

Sono due bellissimi soprannomi, importanti. Entrambi mi piacciono molto ma ormai sono abituato a sentirmi chiamare “Boss”. Quindi va benissimo se mi chiamate così.

di Paolo Sacchi (in esclusiva per Mondo Chievo)

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.