Chievo v Udinese – Intervista a Giovanni Scardoni

Quale bambino non ha mai sognato di diventare calciatore e magari di debuttare giovanissimo tra i ‘grandi’, di giocare il derby in uno stadio tutto esaurito? E ancora, affrontare uno dei più temuti centravanti dell’epoca e vestire la maglia della Nazionale. Tutto questo è realmente accaduto a Giovanni Scardoni, oggi 36enne, un tempo ragazzino del settore giovanile gialloblù cresciuto fino ad arrivare in prima squadra. Una carriera che ha bruciato le tappe ma che, col tempo, ha lasciato spazio allo studio, alla ricerca di una professione che sarebbe diventata quella della vita. Laureato all’Università di Verona, l’ex difensore gialloblù oltre ad insegnare è anche un ricercatore d’informatica applicata alla medicina per i software in ambito oncologico. Riavvolgendo il nastro della memoria è impossibile però dimenticare il passato da calciatore professionista, soprattutto quella magica stagione del debutto in Serie B. Correva l’anno 1994. Bel momento, vero Scardoni? “Di sicuro. Avevo diciotto anni all’epoca. Al mio esordio, contro l’Ascoli, mi sono trovato a dover marcare un certo Bierhoff. Mica facile debuttare così. Però fu un bel duello e comunque a me era andata bene. A dirla tutta alla fine gli avevo chiesto di scambiare la maglietta ma niente, non me l’ha voluta dare. Chissà perché… forse aveva preso troppe botte…”. Scardoni era un picchiatore, dunque? “No, no, anzi! Il fatto è che lui era bravissimo di testa, io me la cavavo bene e così ogni palla finì per essere contesa in ogni maniera. La verità è che fu una bella battaglia, una di quelle che adesso forse se ne vedono meno rispetto al calcio di una volta”. Passano alcune settimane e arriva il derby… “Quello è il ricordo più bello di tutta la mia carriera. Partire titolare nel derby della tua città è il sogno di ogni calciatore e quello oltretutto fui il primo in assoluto. Giocare di fronte a trentamila persone e essere il più giovane in campo ha reso il tutto ancor più emozionante”. La maglietta stavolta l’hai conservata? “Certo, ce l’ho ancora a casa. Devo dire che mi piacerebbe rivedere il derby in Serie A. Sarebbe una grande festa per tutta la città.”. Com’è avvenuto il passaggio dal prato verde alle lezioni universitarie? “Dopo essere stato convocato nella Nazionale Under-19 ho giocato in Serie C e successivamente proseguito la carriera nei campionati dilettantistici qui nel veronese. Mi sono reso conto che non avrei più avuto spazio in Serie B e che avevo probabilmente raggiunto il massimo per le mie qualità. Così ho riflettuto su cosa era meglio dedicarmi e ho pensato fosse meglio studiare. La verità è che se ti offrono buoni contratti è un conto, altrimenti, come nel mio caso, visto che il livello forse era quello di una Serie C, ho preferito dedicarmi allo studio. Per fortuna ho avuto le mie soddisfazioni molto presto. Per carità, in una carriera poi a volte può accadere di tutto: penso a un compagno come Melosi che è arrivato in Serie A quando aveva oltre trent’anni”. I rimpianti quindi li lasciamo da parte? “Oddio, quando fai scelte così è difficile dire cosa sarebbe successo se avessi continuato a giocare. Però credo che di più non avrei potuto chiedere. Quando giocavo nelle giovanili non mi sarei mai immaginato di arrivare un giorno a scendere in campo in B e vestire la maglia azzurra”. Non è facile laurearsi per un calciatore… “A dire il vero non sarebbe giusto dire che ho fatto entrambe le cose contemporaneamente. Per laurearmi ho dovuto mettere in secondo piano il calcio. L’impegno è tale che sarebbe stato impossibile fare bene sia l’una che l’altra cosa nello stesso tempo”. Dal Bentegodi all’Università di Verona… “Insegno la mattina mentre al pomeriggio faccio il ricercatore. Ho le mie soddisfazioni”. Il Chievo oggi resta comunque una passione? “Certamente, sono sempre un tifoso. Impossibile non esserlo: quando sono arrivato al Bottagisio avevo undici anni, giocavo negli Esordienti. Poi ho fatto tutta la trafila e sono tra i primi usciti dal settore giovanile, che proprio qualche anno prima era stato ristrutturato da Beppino Campedelli e Carlo De Angelis. Il Chievo era ancora in C2 e loro hanno avuto una visione lungimirante impostandolo come una grande squadra di A. La decisione di investire sui giovani nel tempo è stata ampiamente ripagata. Inoltre, con grande piacere mi ritrovo costantemente per le partite insieme a molti dei miei ex compagni nell’ambito di Cuore Chievo”. E il Chievo di questa stagione piace a Scardoni? “E’ una buona squadra. Il Chievo ha sempre l’abilità di fare molto bene spendendo in maniera accorta, forse come nessun’altra società. Il nuovo tecnico mi pare una persona molto, molto valida. Parlando con i miei ex compagni che lo conoscono bene mi dicono che Eugenio Corini sia un ragazzo di grandi capacità, anche umane, che sono poi quelle che oggi possono fare la differenza. Le rose sono sempre più numerose e dunque è più difficile gestire gli spogliatoi, di conseguenza in un allenatore occorrono anche altre capacità oltre quelle tecniche. Il ‘gruppo’ è stata sempre la forza del Chievo dunque sono certo faranno bene anche quest’anno”. Da ex calciatore uscito dall’ambiente e dunque che ha ‘staccato la spina’, che opinione si è fatto del calcio di oggi? “Magari vado controcorrente ma preferivo il calcio degli anni ‘80, meno fisico e più tecnico rispetto a quello odierno. Noi abbiamo vissuto quel periodo di passaggio quando il calcio era più un gioco e stava trasformandosi in uno sport a tutti gli effetti. Ricordo il fisico esile di gente come Platini rispetto agli armadi che giocano oggi. Onestamente non so come fa un giocatore come Giovinco a resistere…” Con due figlie femmine, Anita di tre anni e la piccolissima Carolina che la moglie Alice gli ha regalato pochi giorni fa, nella doppia veste di padre ed ex calciatore quale consiglio Scardoni potrebbe dare oggi a un ragazzino che si approccia allo sport? “I giovani devono solo pensare a divertirsi, a giocare con i compagni. Punto. Quel che sarà, sarà, perché non è facile arrivare. Anzi, la selezione poi, più avanti, è durissima. Ma bisogna dire anche ad alcuni genitori di non creare false aspettative ai propri bambini, di non ‘pomparli’. Lasciateli divertire ché il calcio è un gioco bellissimo!”.

di Paolo Sacchi (Mondo Chievo 06)

SCARDONI

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.