Natalino Balasso è un artista geniale. È tra i più acuti, sensibili, ironici, irriverenti narratori della nostra era. Un fine sociologo che utilizza la propria intelligenza raffinata per cogliere e rappresentare sul palcoscenico, come pochi altri, il nostro tempo, le umane debolezze, le ipocrisie, il linguaggio e l’indole della nostra società.
Sottovalutato, verrebbe da aggiungere per paradosso, proprio come lo è in fondo “Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, il cui valore del testo va ben oltre la Commedia dell’Arte e che Giordano Bruno Guerri considera un’opera capitale della cultura italiana moderna perché ritrae perfettamente l’italiano medio, proprio come i tanti personaggi interpretati in dialetto veneto da Balasso a teatro e sullo schermo. La diretta con lui ospite su Heraldo è stata una straordinaria opportunità per ascoltare i suoi pensieri sul ruolo dell’attore e poi spaziare su politica e imprenditoria, sulla “società delle immagini” e quella dell’enunciazione. E ancora sul ruolo dei social network e sull’invidia, “motore” della nostra società. Da Debord a Goethe passando per Berlusconi, Zaia, Wharol e Grillo. Senza fronzoli, da guardare fino alla fine:
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