Il Botha da ricordare

Tre Botha. Tre uomini con lo stesso cognome che in maniera diversa hanno segnato la storia dell’Africa del Sud. Tre sudafricani bianchi, due politici e uno sportivo. Il primo di nome suona Roelof Frederik ma tutti lo conoscevano come Pik, abbreviazione di pikkewyn, che in afrikaans significa ‘pinguino’, causa di una somiglianza con il pennuto quando da giovane indossava un abito da cerimonia. Liberale, già ministro degli esteri, ha posto la firma al trattato che, di fatto, ha sancito l’indipendenza della Namibia nel 1988. Una svolta storica, a cui è seguita la presenza nel governo di unità nazionale a fianco di Nelson Mandela e Frederik de Klerk. Nessuna parentela lega Pik a Pieter Willem Botha, ricordato pure lui con un soprannome – Die Groote Krokodill (ovvero il “grande coccodrillo”), che era già tutto un programma. Ministro della difesa prima ma soprattutto premier sudafricano e poi presidente dal 1984 al 1989. Personaggio discusso e discutibile, P.W. Botha è ua delle icone dell’epoca: determinato quanto realistico, ha difeso il sistema dell’apartheid fino all’introduzione dello stato di emergenza, anche se, al contrario dei predecessori, ha lasciato intravvedere qualche apertura poi concretizzata negli anni successivi con l’arrivo di de Klerk. I giovani conservatori inglesi in uno slogan avevano associato il suo cognome a quello di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, pensando di far cosa gradita alla Iron lady. Che non tardò a far conoscere il disappunto alla prima occasione utile.

Negli stessi anni il rugby locale, sport nazionale amato dai bianchi afrikaner, era all’angolo. Il boicottaggio internazionale motivato dalle leggi razziali impediva alla nazionale di confrontarsi con le grandi e storiche avversarie. Una vera disdetta per gli Springboks, orgoglio nazionale, che saliranno poi alla ribalta mondiale e verranno conosciuti anche dai non sportivi grazie al romanzo di John Carlin “Ama il tuo Nemico”, diventato l’Invictus cinematografico con Morgan Freeman nei panni di Nelson Mandela, in cui vengono raccontate le gesta di François Pienaar e compagni ai Mondiali 1995. Prima d’allora i Bokke erano costretti a restare alla finestra. Una penosa situazione: Inghilterra, Irlanda, Australia e Nuova Zelanda per anni hanno rifiutato di affrontarli e manterranno tale posizione fino a quando le leggi non saranno abolite.

E se è vero come è vero che il museo dedicato all’apartheid a Johannesburg merita una visita per capirne le dinamiche che ne hanno permesso la nascita e l’esistenza del sistema di segregazione tra il 1960 e il 1994, così come una passeggiata tra le umili dimore di personaggi come il candinale Tutu o quella della famiglia di Madiba a Soweto, a proposito di rugby è impossibile restare analogamente insensibili di fronte al fascino del Loftus Versfeld di Pretoria, uno degli stadi più coinvolgenti del Paese. Nella città dei fiori di jacaranda e dei Voortrekkers giocano i Blou Bulle, la franchigia che ha ereditato la storia della formazione del Northern Transvaal in cui ha militato il terzo Botha più noto del Sudafrica: di sicuro quello più amato dagli sportivi. All’anagrafe il nome farebbe Hendrik Egnatius, ma sia qui che in Italia tutti lo conoscono come Naas. Comunque sia, non è solo per il curioso soprannome che non è passato inosservato. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, quando il campionato sudafricano era in pausa, era solito deliziare il pubblico nostrano con la maglia della Sanson Rovigo. Un giocatore superlativo in grado di far innamorare del rugby e ispirare migliaia di appassionati in entrambi i continenti. Un mediano d’apertura dal talento sopraffino, leader dall’intelligenza tattica raffinata, che univa tifosi e addetti ai lavori nella stima incondizionata come pochi altri sono riusciti nel rugby sudafricano. Botha peraltro è un cognome apparentemente facile da pronunciare ma che solo grazie alla corretta dizione ispirataci da un compagno di viaggio su un volo interno tra Port Elizabeth e Jo’burg oggi riusciamo a enunciare il nome in maniera corretta, trasformando la o in una sorta di dittongo che suona come una specie di “ue”. Forse non è del tutto vero che non ci fosse alcun legame tra Naas, Pik e PW,  cognome a parte. Tutti e tre i Botha hanno provato ad andare in meta, ognuno nel proprio campo da gioco, affrontando gioie e dolori, personali e collettivi.

NaasBotha

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.