Una nuova domenica a Belfast

Spagna, 1982. Johnny Jameson tocca il cielo con un dito: si è appena guadagnato un posto tra i ventidue nordirlandesi selezionati da Billy Bingham per la fase finale della Coppa del Mondo. Si tratta della sua prima convocazione assoluta in nazionale. Anche se è difficile trovare posto da titolare in una squadra che in mezzo al campo allinea O’Neill, MacIllroy e il giovanissimo Whiteside, per l’ala del Glentoran di Belfast è tuttavia un sogno che si avvera. Il 24enne Johnny nel turno preliminare osserva i compagni dalla panchina. Dopo due pareggi, i biancoverdi superano i padroni di casa e, contro ogni pronostico, centrano la qualificazione. Alla memorabile vittoria – in patria il gol di Armstrong vale come la corsa di Tardelli al Bernabeu per gli italiani – segue il secondo turno, aperto da un 2-2 con l’Austria. Per arrivare alle semifinali servirebbe un nuovo miracolo, stavolta contro la Francia.

Nel corso della sfida che finirà 4-1 per i Bleus, ossi troppo duri per Jennings e compagni, Bingham vorrebbe fare scendere in campo Jameson, fino a quel momento mai utilizzato. Esordire ai Mondiali significherebbe il coronamento di una carriera per un calciatore oltretutto tra i pochissimi provenienti da un club della piccola Irish League. Resterà però tutto al condizionale. La partita con i francesi è prevista di domenica. L’articolo 17 del regolamento della Federazione calcistica dell’Irlanda del Nord proibisce ai club iscritti alla Irish Football Association e alla selezione nazionale di disputare gare il settimo giorno della settimana, in piena osservanza del principio del Sabbath della Chiesa Protestante. Chiedere alla FIFA di rinviare o anticipare l’incontro sarebbe tempo sprecato e comunque l’IFA non potrebbe permettersi di creare un caso “mondiale”, in tutti i sensi.

Come uscirne? Per consentire ai giocatori di poter scendere in campo, a Belfast viene introdotta una norma ad hoc che salva forma e sostanza: ovvero una deroga “per le partite della nazionale all’estero”. Un accorgimento che consente alla squadra di Bingham di non contravvenire ad alcun regolamento e soprattutto non scontrarsi con i precetti religiosi. Una decisione che però non rasserena Jameson. Lui è cristiano, credente e osservante. Nonostante il via libera formale, la sua coscienza dice che no, non è giusto scendere in campo. Contravvenire ai propri principi non fa per lui: nel rispetto per i compagni che giocheranno, Johnny non sarà tra questi. Senza forse saperlo, rinuncia per sempre all’occasione della vita di vestire la maglia della nazionale, per giunta in un torneo mondiale.

Johnny Jameson non ha mai avuto alcun rimpianto della scelta. Ci sono voluti però altri trentadue anni prima di vedere la nazionale biancoverde in campo a Belfast, nel proprio stadio di casa, nel “giorno del Signore”. Domenica 29 marzo 2015, alle ore 17, per la prima volta nella secolare storia dell’IFA, si è infatti disputato un incontro di calcio internazionale sul suolo nordirlandese. La gara con la Finlandia, per la cronaca valevole per le qualificazioni a Euro 2016 e vinta meritatamente 2-1 dagli uomini di Michael O’Neill, è stata una prima assoluta. Dibattiti, discussioni, polemiche hanno fatto da preludio a quella che i protestanti o, per meglio dire, la componente più radicale – che non ha mancato di far sentire la propria voce anche fuori dello stadio – ha definito come una “profanazione” e un “segno di scarso riguardo dei diritti” dei fedeli. In ogni caso, nonostante i prezzi dei biglietti a livello di Premier League, il colpo d’occhio a Windsor Park – seppure in fase di ristrutturazione – era notevole: tutto esaurito e grande entusiasmo prima, durante e dopo i novanta minuti di gioco, con la qualificazione a Francia 2016 quasi dietro l’angolo.

Il divieto di giocare al calcio di domenica in Irlanda del Nord è tanto singolare quanto poco noto aldilà delle isole britanniche. Pur non ancora ufficialmente codificato, il bando era già informalmente rispettato dalla fine dell’Ottocento, dai tempi dell’Irlanda unita. La successiva suddivisione del Paese in due entità separate ha trasformato il riposo della domenica di origine biblica in un veto ufficiale da parte della federazione che nel frattempo proseguiva la propria attività nelle sei contee dell’Ulster rimaste fedeli alla corona. Nulla di particolarmente eccentrico, quantomeno dalle parti di Belfast: a dirla tutta, in alcuni quartieri unionisti fino agli anni Sessanta anche le altalene dei bambini venivano appositamente bloccate per impedirne l’utilizzo nel sacro giorno di festa.

Nel 1922, quando l’Irlanda si divide, mentre a sud si liberalizza lo sport domenicale, nel nord si mette nero su bianco che il settimo giorno della settimana al football non si può giocare. Introdotto formalmente negli anni Trenta, il divieto resiste a qualsiasi richiesta di deroga presentata da club affiliati all’IFA fino al 2008, con unica eccezione quella già descritta relativa alle partite della nazionale all’estero. Poi, giusto sette anni fa, uno scossone: da un lato l’insorgere dei rischi di possibili cause civili che avrebbero potuto portare la Federazione di fronte alla Corte Europea per i diritti umani sul terreno minato della discriminazione razziale o religiosa, dall’altro la pressione mediatica interna sull’unica organizzazione sportiva europea ostinata a mantenere in vigore una regola ritenuta da molti anacronistica e limitante.

Per farla breve l’IFA decide di cancellare l’articolo 17 e sostituirlo con il 36 bis che, sotto certi punti di vista, libera gli incontri domenicali. Con un accorgimento: la decisione deve essere condivisa dai due club interessati. Quando nel settembre dello stesso anno Glentoran e Bangor recuperano una gara cancellata il giorno prima e scendono in campo nel “giorno del Signore”, al loro arrivo al The Oval trovano un nutrito gruppo di protestanti (in tutti i sensi del termine) appartenenti alla Libera Chiesa Presbiteriana dell’Ulster, non particolarmente entusiasti della scelta delle due compagini. Il match si disputa regolarmente ma non alimenta uno spirito d’emulazione in altre società. Per tradizione, per non sovrapporsi al calcio televisivo della Premier, ma anche per non scontrarsi con le autorità della Chiesa Protestante. Ed evitare il rischio di eventuali danni collaterali, come nel caso del Ballymena United, abbandonato dallo sponsor per aver disputato un’amichevole di precampionato nel giorno sbagliato. Nel frattempo, il Linfield, club di Belfast che annovera tra i proprio sostenitori un’evidente componente settaria protestante, introduce una norma che vieta l’utilizzo di Windsor Park, il proprio terreno di gioco, nei giorni di festa. Una decisione poi rivista e limitata alle proprie esibizioni che, per paradosso, avrebbe messo il lucchetto anche alle finali delle competizioni domestiche e alle gare della nazionale che utilizza e oltretutto finanzia, attraverso l’IFA, i lavori di ristrutturazione dell’impianto.

Quando l’UEFA ha stilato i calendari di Euro 2016, collocando il match tra Irlanda del Nord e Finlandia di domenica, ha avviato quel che per molti era ormai inevitabile. Il capitolo finale di una storia unica nel suo genere su cui si riflettono i contrasti di una terra – l’Ulster – altrettanto unica nel suo genere. Una provincia in cui si può essere contemporaneamente britannici e irlandesi, atei e praticanti, all’interno di confini e barriere non solo fisiche che questa vicenda contribuisce a rendere più sfumate.

Da Belfast Paolo Sacchi, in esclusiva per Indiscreto

http://www.indiscreto.info/2015/03/belfast.html

Kyle Lafferty

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.