Bani, bravo, bis

Doppia presenza consecutiva da titolare al centro della difesa per Mattia Bani, arrivato al Chievo dal prestito alla Pro Vercelli ma catalogabile come un vero colpo di mercato. Ragazzo dalle ottime referenze, dopo i primi mesi di studio in gialloblù ha dimostrato di non patire affatto il grande salto tra la cadetteria e la massima divisione. Ottima freccia all’arco di Rolando Maran, nelle prime uscite ha subito convinto sia per tecnica che per personalità in un ruolo delicato..

Mattia, dopo le due presenze in Coppa, anche in campionato hai fatto il bis. Titolare due volte consecutive con Udinese e Lazio. Una bella soddisfazione, no? Un’occasione così l’aspettavo da tanto. Questi mesi con la squadra mi hanno permesso di crescere sotto qualsiasi punto di vista e ora sono felice di aver potuto mostrare in campo i progressi avvenuti. Credo che il mister abbia ritenuto opportuno schierarmi proprio nel momento ideale. Sono contento, in particolare della prestazione nel debutto con l’Udinese, peraltro sia mia che di tutta la squadra. Si è trattato di una gara in cui meritavamo decisamente di più del pareggio ottenuto.
Adesso viene il bello: ti senti pronto per un ruolo di primo piano in serie A? Starà a me riconfermarmi. Ogni volta che il mister me ne darà l’opportunità dovrò farmi trovare pronto. Sono anche convinto che essere in un gruppo come questo mi dia la possibilità di migliorarmi costantemente. Ho compagni da cui posso imparare molto: ognuno di loro, in particolare i miei colleghi di reparto, ha una grande esperienza e una carriera importante alle spalle. Per me dunque, alla prima stagione in A, è fondamentale avere al proprio fianco giocatori del livello di Dainelli, Tomovic, Cesar e Gamberini ad esempio, in grado di potermi dare una mano sia in campo che fuori.
Stiamo scoprendo le tue caratteristiche: innanzitutto senso della posizione e dinamismo al centro della difesa. Diciamo bene? Anche se in carriera e qualche volta in allenamento mi è capitato di giocare pure da terzino destro, la mia posizione prediletta è il difensore centrale. È il ruolo che ho quasi sempre ricoperto in tutte le mie precedenti esperienze e devo dire nel quale mi piace giocare maggiormente. Lo sento più mio.
Un tuo pregio e un tuo difetto? Il mio punto di forza principale credo sia la voglia di migliorare e il saper mettermi in gioco. Essere alla prima stagione nella massima serie è già di per sé uno stimolo grandissimo in questo senso. Al di là dell’esperienza che acquisirò col tempo, voglio migliorare la capacità di saper stare in campo e gestire le situazioni di gioco. In serie A non è sempre facile.
In carriera hai vestito due maglie prestigiose: sedici scudetti complessivi in bacheca fanno un certo effetto, no? Genoa e Pro Vercelli sono state entrambe esperienze molto importanti in società con una grande storia. L’anno e mezzo nella Primavera rossoblù è stato molto formativo: sono arrivato in una squadra che aveva appena vinto lo scudetto di categoria e nella mia prima stagione siamo arrivati alle semifinali con una squadra con tanti ottimi giocatori. A Vercelli ho trascorso quattro anni eccezionali. Ho avuto la fortuna di vincere il campionato di C ed essere protagonista di tre salvezze in una città in cui il passato calcistico conta molto. Avere avuto la possibilità di farne parte è per me un motivo d’orgoglio.
Oggi sei in un club che magari non avrà lo stesso blasone antico di Genoa e Pro ma negli ultimi trent’anni ha dimostrato molto al calcio italiano. Sono d’accordo. Il Chievo il blasone è stato capace di crearselo grazie all’eccellente lavoro in tutti questi anni. Vista da fuori, ero molto curioso di scoprire come questa società fosse in grado di ottenere successi e soddisfazioni così importanti. Mi sono reso conto che nulla arriva per caso. Anzi, sono davvero felice di poterlo apprezzare direttamente tutti i giorni. Qui la qualità e la professionalità di dirigenti e collaboratori, oltre la passione, è altissima e capisco perché i risultati siano migliori che in altre piazze.
Il tuo accento tradisce la tua origine. Fiorentino verace? In effetti nascondo male il fatto di essere toscano [ride] ma qui nello spogliatoio sono in buona compagnia. A Firenze torno comunque spesso. Sono legato alla famiglia e agli amici che rivedo sempre volentieri. E poi soprattutto per la mia ragazza, che vive lì per motivi di studio. Anche se peraltro viene sempre volentieri a trovarmi a Verona. Entrambi siamo innamorati della città. Quando mi capita di passare per Piazza Erbe ne rimango sempre folgorato dalla bellezza come fosse la prima volta che la vedo. Poi in fondo il centro mi ricorda anche un po’ la mia Firenze.
Ora che giochi più spesso ha un motivo in più per raggiungerti. A dire il vero veniva spesso anche prima: ovviamente ora meglio così, anche per me. Fuori dal campo Mattia che tipo è? Non ho nessun hobby particolare: al centro dei miei interessi c’è il calcio. Se devo descrivermi, direi di essere un ragazzo tranquillo, semplice, come molti di quelli cresciuti in uno dei tanti paesini piccoli come il mio, Rufina. Non ero abituato a vivere in una grande città come Verona. Si tratta in fondo di un’esperienza nuova che mi piace molto e mi aiuta anche a crescere come persona.
Com’è nato il tuo amore per il calcio? Gioco a pallone fin da piccolo e la passione è di famiglia. A
trasmetterla è stato soprattutto papà. E pensare che all’oratorio giocavo da attaccante.
Da incendiario a pompiere, in pratica. Ebbene sì, mi piaceva segnare. Poi purtroppo ho perso l’abitudine crescendo.
Da bambino ti ispiravi a qualche giocatore particolare? Dei miei primi idoli, tra tutti dico Ronaldinho, che si è ritirato giusto in questi giorni. Mi gustavo i suoi gol e dribbling in televisione. Che grande giocatore!
Dunque niente Batistuta? Di lui ho ricordi sfocati, non ho fatto in tempo a conoscerlo bene anche se ne ho rivisto le gesta in tv e su internet. Un vero bomber. Mio padre me ne parla spesso. Anzi, non credo di esagerare se dico che lo considera alla stregua di una leggenda.
Allora racconta di come e quando sei diventato difensore. Onestamente è avvenuto quasi per caso. Nelle giovanili a Figline giocavo a centrocampo. Campagnano, il nostro allenatore, un giorno decise di schierarmi difensore centrale. Una sorta di esperimento. Col tempo l’ho convinto che ero adatto a quel ruolo e così, anche grazie a lui, è cambiata la mia carriera.
Ora che ti sei svelato, a questo punto ai tifosi del Chievo dovrai promettere anche qualche golletto. Me lo auguro, chissà. Prima però, innanzitutto voglio farmi apprezzare per il mio lavoro, cioè impedire che siano gli altri a segnare. Poi certo, farò di tutto per aiutare la squadra a renderli felici con risultati importanti che ci permettano di avvicinarci più velocemente possibile alla conquista della salvezza.
Paolo Sacchi
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Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.