Il volo dell’aquila

Esiste un limite tra lo sport e la politica? Bella domanda, difficile risposta. Ce lo chiedevamo ieri sera mentre, con la tivù accesa in modalità solo audio, osservavamo l’esultanza di Xhaka e Shaqiri dopo le rispettive reti realizzate con la maglia della #Svizzera contro la Serbia. Un episodio, anzi due, che ha inevitabilmente alimentato polemiche e contribuito a soffiare su una fiamma per la verità tuttora ben accesa. I giocatori, svizzeri di origine kosovara, nel festeggiare i gol alla “nemica” Serbia, hanno mimato l’aquila bicipite, simbolo dell’Albania.
Difficile giudicare da fuori, da lontano. Troppo profonde le ragioni degli uni e degli altri in questa storia di guerra, di paura, di orgoglio, di simboli e (non) bon ton. Entrambe le loro famiglie sono fuggite dal Kosovo negli anni delle persecuzioni della Serbia di Milosevic. Per la cronaca, il Kosovo, che si è dichiarato unilateralmente indipendente dalla Serbia nel 2008, non è stato mai riconosciuto da Belgrado né tantomeno da Spagna, Russia e altri Paesi. Per ragioni spesso di opportunità politica più che di diritto o ideologia. In entrambi i sensi.ia di Perparim Hetemaj, emigrata dalle parti di Helsinki, in Finlandia. ,Identiche a quelle di migliaia di sconosciuti che negli anni novanta e duemila decenni hanno lasciato Bosnia e Kosovo.

Non è la prima volta – né presumibilmente sarà l’ultima – in cui pallone e politica s’intrecciano alle storie personali. Con i propri genitori Xherdan Shaquiri si è trasferito nel cantone di Basile Campagna da bambino;  Granit Xhaka invece è nato sul Reno, a Basilea, nel 1992. Due anni prima, il padre aveva preferito allontanarsi da casa (eufemismo) dopo aver trascorso  tre anni e mezzo di prigione. Studente dell’Università di Pristina in Kosovo (al tempo provincia autonoma jugoslava) Recep Xhaka era stato arrestato nel 1986, all’età di 22 anni, per aver preso parte a una manifestazione contro il governo comunista centrale. Condannato a sei anni di carcere, una volta rilasciato anzitempo ha pensato fosse meglio andare via da casa con la futura mamma del futuro centrocampista dell’Arsenal. Storie comuni a molti esuli, tra cui il loro compagno di nazionale Valon Berhami, cresciuto a Stabio, nel Canton Ticino, se non alla vicenda della famiglia di Perparim Hetemaj, emigrata dalle parti  di Helsinki, in Finlandia. Identiche a quelle di migliaia di sconosciuti che negli anni novanta e duemila decenni hanno lasciato Bosnia e Kosovo.

Impossibile plaudire o censurare da parte di chi non ha mai messo i piedi nelle scarpe – anche senza tacchetti – dei protagonisti. Se non da parte della Fifa, che potrebbe intervenire squalificando o meno i due atleti. Politicamente scorrettissimo, il gesto tuttavia ha un retroterra e una forza che non è possibile ascrivere semplicemente a banale provocazione o a ripicca personale. Per quanto lo si possa trovare di pessimo gusto nel contesto di un evento sportivo, per quanto esista la consapevolezza che da un professionista ci si aspetterebbe un certo tipo di contegno in campo, tuttavia è troppo tragico e recente il corso degli eventi nei Balcani da rendere comprensibili strascichi anche su persone meno comuni come due calciatori. Il tutto, va detto, a prescindere dal terzo incomodo, rappresentato dalla divisa che indossano. Qualcuno ha accennato alla mancanza di rispetto verso la maglia rossocrociata: per la verità Xhaka e Shaqiri si sentono elvetici quanto Lichtsteiner, cresciuti in un Paese multiculturale che li ha accolti e resi cittadini di serie A e non solo perchè calciatori. In definitiva, condannare o approvare diventa una missione quasi impossibile. Esistono dei regolamenti sportivi: se li hanno infranti, pagheranno. E forse, in fondo, tutto sommato, sarebbe meglio per tutti, per la Serbia e il Kosovo, chiuderla qui.

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.