L’erba allo stadio è più verde

«Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio.» Se a dirlo è un Premio Nobel del calibro di Albert Camus, grande innamorato del pallone, c’è da credergli. Con lo scrittore francese saranno di sicuro d’accordo tutti gli appassionati che hanno atteso quasi otto mesi prima di tornare lì, nel luogo della passione per antonomasia. A Verona, sabato scorso si sono riaperti i cancelli del Bentegodi per una partita di campionato del Chievo. Mille tifosi hanno potuto tornare a seguire dal vivo una gara della squadra del cuore. Tra loro c’era Alberto D’Urso, abbonato che fino all’inverno scorso regolava la propria vita sulla base del calendario. Da piccolo imprenditore ha sempre cercato d’incrociare i propri impegni e i viaggi di lavoro in giro per il mondo con i match casalinghi della formazione della Diga.

Mesi di divano, tra tv e radio, sono alle spalle. Anche se con numeri contingentati, finalmente lo stadio ha riaperto.
«Non potevo non cogliere l’occasione. Lo ammetto: è stata sensazione strana. Beh, le scale d’ingresso sono rimaste le stesse, con qualche ricordino lasciato dai piccioni durante l’estate – scherza D’Urso – ma davvero è stato meraviglioso.» Il suo entusiasmo è evidente. «Pure l’erba del campo è sempre bellissima. Di un colore caldo che sabato sembrava pennellato dal sole. Dolce e inatteso, avvolgeva tutto in una tiepida aria autunnale. Sono sensazioni che mi mancavano, davvero.»

Che effetto è stato tornare lì, al proprio posto sugli spalti?
«Con mia moglie siamo abbonati non so da quante stagioni. Mi sono guardato attorno, come faccio sempre. Stavolta forse con più curiosità del solito. Ho visto decine di occhi spuntare dalle mascherine e fissare il terreno di gioco. Nelle mani, l’autocertificazione e il gel al posto di una bandiera ma in fondo va bene così. È stato un piccolo passo verso il ritorno alla normalità. Nel cuore c’era solo spazio per la gioia di esserci.»

Poi è arrivato il fischio d’avvio e…
«È stato strano. Dal campo si possono sentire i rumori dei contrasti, il vociare dei giocatori e le indicazioni degli allenatori. Sugli spalti invece è già tornato tutto come prima. Tra chi incita la squadra, qualche improperio e infine le urla contro l’arbitro. Non sono mancati neppure gli aspiranti Guardiola, con i loro consigli tattici al mister.»

Il pubblico di Chievo-Salernitana

Insomma, tutto è cambiato per non cambiare nulla.
«Questo è stato proprio il bello. Per magia pareva di essere tornati al 17 febbraio. Gli stessi suoni, le stesse urla e nessuna televisione a dividerci tra noi ed il campo. È successo quello che volevamo: essere allo stadio a tifare per il nostro Chievo. Ci è mancato tanto. Ho contato i giorni: ne sono passati ben 228.»

Dalla Salernitana alla Salernitana.
«Il destino è proprio stano. Quella volta, ultima partita a porte aperte, vincemmo due a zero. Doppietta di Giaccherini e tanti saluti ai campani. Da allora purtroppo è stato solo calcio in tv o alla radio, nel silenzio di stadi vuoti. Ci sono stati tanti gol, si è assegnato lo scudetto, promozioni e retrocessioni, ma il calcio senza pubblico è freddo, asettico e distante. Mi permetto di dirlo: non è il vero calcio, quello che coinvolge e appassiona, quello che porta a discutere, a gioire e pure ad arrabbiarti.»

A proposito: sabato sera quanto era arrabbiato al fischio finale?
«Un po’, per come abbiamo perso. Ma in fondo, almeno stavolta, il risultato è contato poco rispetto a tornare al Bentegodi e alle emozioni che noi tifosi ci siamo persi in questi otto mesi restando a casa.»

Pubblicato da Paolo Sacchi

Nato a Genova, ha scoperto quasi subito che le Scienze Politiche non facevano per lui. Viaggiatore e calciofilo, già ufficio stampa, come giornalista collabora con diverse testate cartacee, web e radiofoniche e da anni racconta dal vivo in diretta alla radio le partite del ChievoVerona. Esperto di turismo e di sport britannici, è felice di dover rifare spesso il suo bagaglio a mano.